~Damian~
"Cristo santo, Sonja!" urlai, macchie nere danzavano dietro le palpebre mentre il mio corpo sussultava nell'orgasmo.
"Oh, Damian…" gemette Sonja, gli occhi rovesciati all'indietro, la sua figa che mi stritolava il cazzo mentre spingevo fino in fondo, godendo del suo calore.
"Cazzo…" rantolai, sfilandomi e crollando nello spazio accanto a lei. Strizzai gli occhi, boccheggiando, cercando di riprendere fiato. Anche se era passata la mezzanotte, le luci del balcone proiettavano una fioca luminescenza nella stanza. Un silenzio denso si depositò tra me e Sonja. Lentamente, il mondo ricominciò ad avere un senso.
Come ogni volta che stavamo insieme, tutto intorno a me svaniva sullo sfondo. L'unica cosa che contava era quella donna, che rappresentava il mio universo. Potevo scoparla tutto il giorno, dormire, mangiare e ricominciare da capo il giorno seguente.
Conobbi Sonja al terzo anno di università. Era una donna ambiziosa, dannatamente tenace, e mi faceva impazzire come non cadesse nei miei tranelli; alla fine, però, cedette. Eravamo insaziabili, all'epoca, finché non si trasferì in Francia per inseguire la sua carriera da modella.
Negli anni, ho avuto diverse ragazze, ma nessuna era perfetta come Sonja. E quando ci siamo rincontrati un anno fa, mi ha confessato di provare ancora gli stessi sentimenti. Ha iniziato a corteggiarmi, una tentatrice implacabile che non accettava un no come risposta, finché non sono caduto nella sua rete.
Ho fatto del mio meglio per evitarla, sapendo che ora era sposata, ma come un tossico in crisi d'astinenza, continuavo a cercarla. Era una tentazione, la mia kryptonite. Un solo tocco e mi ritrovavo in ginocchio, e quando riacquistavo lucidità, gli artigli del rimorso mi stritolavano la gola e il petto, riportandomi bruscamente alla realtà.
Mi sollevai dal letto. Le dita affusolate di Sonja cercarono le mie. "Torna a letto. Dammi cinque minuti e facciamo un altro round."
Un'offerta dannatamente allettante. L'avevamo già fatto tre volte. Sapevo che avremmo potuto scopare tutta la notte, se solo fossi rimasto.
Era tutto fottutamente sbagliato.
Nessuno, al di fuori di me stesso, poteva tirarmi fuori da quel casino. Valgo di più. Nancy si vergognerebbe di me se scoprisse che mi scopo una donna sposata. E Cristo, sono un uomo, mi merito di meglio.
Perso nei miei pensieri, mi diressi in bagno e mi feci una doccia; l'unica cosa che mi martellava in testa era l'idea di rompere con Sonja.
Non che non ci avessi provato, la prima volta che avevo scoperto che era sposata. Quando le dissi che non sarei più andato a trovarla, minacciò di suicidarsi. La mia coscienza non mi avrebbe dato tregua se si fosse tolta la vita, così rimasi.
Avvolto in un asciugamano bianco intorno alla vita, tornai in camera. Sonja era seduta sul letto, la schiena appoggiata alla testiera, la luce del telefono che illuminava i suoi zigomi delicati, gli occhi grandi da cerbiatta e le labbra tumide. I suoi capelli castani erano selvaggi e arruffati, a causa dei miei strattoni. Era così fottutamente bella che mi faceva male anche solo pensare di non poterla più vedere.
Il mio cazzo si ridestò, al pensiero di come quella donna sapesse placare le mie voglie a letto. Il mio membro bisognoso protestò contro quello che stavo per fare.
"Il bar di Lyndon inaugura domani." Alzò lo sguardo, i suoi occhi azzurri carichi di speranza. "Ti prego, vuoi essere il mio accompagnatore?"
Un appuntamento. Sbuffai. Voleva solo mettermi in mostra davanti alle sue amiche. Suo marito, Silverio Blanchet, aveva il doppio dei miei anni, una pancia da birra e un alito fetido. Con tutti i soldi che aveva in banca, non riusciva nemmeno a trovare un collutorio decente per salvarsi la dignità.
Conoscevo suo marito fin troppo bene. Era uno dei soci in affari di mio padre. Papà mi aveva incaricato di fare delle indagini sul suo conto. Gli affari di quel tipo erano loschi, ed era solo questione di tempo prima che l'FBI gli mettesse gli occhi addosso.
"Non posso," mormorai, raccogliendo i boxer ai piedi del letto, i jeans appoggiati sul comodino e la maglietta sulla porta, con il suo perizoma appeso alla maniglia.
Ci avevamo forse giocato a fionda?
Ci eravamo divorati a vicenda come se non ci fosse un domani. Mi sarebbe mancato scopare Sonja.
Di scatto, Sonja posò il telefono e accese la lampada sul comodino, aggrottando la fronte. "Te ne vai?"
Cercai i calzini nella stanza. Ne trovai uno sotto il letto, ma l'altro era introvabile.
"Deve finire, Sonja. La mia coscienza non mi dà più pace la notte." Fanculo i calzini. Mi sedetti sul bordo del letto e ne infilai uno, poi infilai i piedi negli stivali. Sonja mi si avvicinò, strisciando, e mi abbracciò la vita da dietro. "Ne abbiamo già parlato, D. Sai che non posso vivere senza di te."
Sospirai. Odiavo sentirla singhiozzare. "Non ce la faccio più. Prendiamoci una pausa. Ho bisogno di riflettere."
"No!" le sue mani mi strinsero più forte. "Non ti lascerò andare!"
La rabbia montò dentro di me. Le liberai le mani dalla mia vita e mi alzai, inchiodandola con uno sguardo infuocato, ma quando i miei occhi scivolarono sui suoi seni perfetti, i capezzoli eretti come fari e così fottutamente rosa, deglutii a fatica. Le sopracciglia si aggrottarono, mentre lottavo per tenere lo sguardo fisso al di sopra delle sue spalle. "Allora divorzia da Silverio, così possiamo stare insieme. Non posso più essere il tuo piccolo segreto. Ti amo, Sonja, e voglio gridare al mondo che sei mia."
Una tempesta di emozioni si agitò negli occhi di Sonja. Era la prima volta che le confessavo i miei sentimenti. In fondo, speravo che questo l'avrebbe finalmente spinta a chiedere il divorzio.
Era lì, in piedi davanti a me, ancora completamente nuda. Le lunghe ciglia tremolarono mentre mi guardava con quegli occhi meravigliosi.
"Ti amo anch'io, Damian," disse, avvolgendo le braccia attorno al mio collo e premendo le sue labbra contro le mie. Strinsi i pugni lungo i fianchi, trattenendomi dal prenderla tra le braccia. L'avevo sentita dire così tante volte, ma questa volta aspettavo una confessione diversa. "Ma non posso divorziare da Silverio. Il dottore ha detto che dobbiamo evitare di stressarlo. Ha il cuore ingrossato e un divorzio…" Scosse la testa, allontanandosi da me. "Non sopravviverebbe, e non voglio essere accusata se gli succedesse qualcosa di brutto." Poi si voltò, i suoi occhi brillavano di speranza. "Quest'anno compie settant'anni... dobbiamo solo aspettare ancora un po'. Non gli resta molto tempo prima che…" deglutì a fatica, "muoia."
La mia mascella si contrasse. I tabloid dipingevano Sonja come una cacciatrice di dote e un'arrampicatrice sociale, ma i miei sentimenti per lei mi avevano accecato. Ma questo… mi aveva appena sbattuto la verità in faccia.
"Vivrà per un altro decennio, Sonja," ingoiai l'amaro sapore del suo rifiuto e cercai la mia giacca di pelle. "Non posso aspettare così tanto."
"Se mi ami davvero, come dici," agitò una mano in aria, "aspetterai!"
I miei occhi si socchiusero. "Non mettere in dubbio i miei sentimenti, Sonja. Cos'è, allora?" dissi a denti stretti. "Sono i suoi soldi? È per questo che ti aggrappi a un uomo che potrebbe essere tuo nonno?"
Si ritrasse, le labbra tremanti, e vidi lo shock trasformarsi in rabbia. "Pensi che lo faccia per me? Lo faccio per noi, Damian! Quando Silverio morirà, i suoi soldi saranno miei… saranno nostri. Questo mondo è crudele. Più soldi hai, più amici hai, e più saremo felici!"
"I soldi non sono tutto, Sonja," dissi, con il petto stretto dall'incredulità. Non riuscivo a credere che la donna che avevo adorato e che sognavo di sposare fin dai tempi dell'università fosse così superficiale. "Non possono comprare la felicità e la realizzazione nella vita."
Mi derise. "Lo dici solo ora. Dimmi, se divorziassi da Silverio, saresti in grado di provvedere a tutti i miei bisogni con il tuo stipendio da chitarrista? E dove vivremmo? Nel tuo appartamento puzzolente sopra quel bar di terz'ordine?"
"Sì, Sonja." Finalmente trovai la mia giacca di pelle. Era appesa alla sedia della toeletta, di fronte al letto. La sorpassai e la presi. "Perché è quello che sono, cazzo. Un povero chitarrista che vive in un appartamento puzzolente."
Mi diressi verso la porta. Sonja mi corse incontro, abbracciandomi di nuovo da dietro. "Aspetta, Damian… mi dispiace. Scusa per averti detto quelle cose. Sai che ti amo."
Le tolsi le mani di dosso, disgustato di essere caduto ancora una volta nei suoi tranelli. Come avevo potuto essere così stupido? Guardandola dall'alto, in quel momento, mentre piangeva e mi implorava di restare dopo avermi umiliato in quel modo, ero contento che non sapesse chi fossi veramente. Almeno aveva mostrato la sua vera natura prima ancora che potessi metterle un anello al dito.
"Non scusarti. Almeno ora so come mi vedi davvero. È stato fottutamente illuminante." Mi voltai per andarmene di nuovo. Sonja mi superò e si piazzò davanti alla porta, bloccandomi l'uscita.
Scosse la testa, le lacrime che le rigavano il viso. "Ti prego, Damian… non farci questo."
"Allora divorzia da Silverio, cazzo!" ruggii.
"Vuoi che scelga!?" singhiozzò. "Te l'ho già detto, non divorzierò da Silverio."
Nubi oscure si addensarono sopra la mia testa. "Allora è finita, cazzo."
I suoi occhi si socchiusero. "Bene! Ma ricorda le mie parole. Tornerai da me, quando sentirai la mia mancanza. Ti conosco, Damian. Mi ami, e non saprai resistermi."
Faceva male sapere che aveva ragione. Ero fottutamente pazzo di lei. Ma lo stavo facendo per me stesso. Feci un passo avanti. Sonja arretrò, un lampo di paura che le attraversò il viso. "Appena uscirò da questa stanza, tu non sarai più niente per me, Sonja. Hai fatto la tua scelta. Ora tocca a me."
















