**POV di Raymond**
Il viaggio di ritorno all'appartamento di Ava fu soffocante nel suo silenzio. L'unico suono proveniva dal basso ronzio della musica che usciva dagli altoparlanti dell'auto. Lei sedeva rigida sul sedile del passeggero, le mani giunte in grembo. Capivo che si stava incolpando per aver quasi rovinato il piano, ma in qualche modo era riuscita a ribaltare la situazione. Nessuno sospettava nulla, nemmeno mia nonna, che riusciva a vedere attraverso la maggior parte delle facciate.
Quando finalmente ci fermammo davanti al suo palazzo, la tensione era ancora palpabile. Ava si slacciò la cintura di sicurezza e ci scambiammo un cenno educato, inchinandoci leggermente per sancire la fine della serata. Proprio mentre mi giravo per andarmene, la sua voce soave mi fermò.
"Raymond..."
Mi voltai, la mano ancora sulla portiera dell'auto. Esitò per un secondo, la testa leggermente china mentre diceva con voce bassa, quasi spezzata: "Mi dispiace per aver quasi rovinato il piano stasera".
Mi bloccai, i miei occhi indugiarono sul suo viso. C'era qualcosa di così vulnerabile, così... innocente nella sua espressione. La mia mente tornò indietro alla sala da pranzo di prima: come aveva mascherato il suo errore con tanta disinvoltura, trasformando l'intero commento sulla "figlia" in una battuta spensierata. Tutti avevano finito per ridere, persino la nonna, che era rimasta così colpita dalla sua prontezza di spirito.
"Tu..." cominciai, incapace di trattenere le parole che si formavano sulle mie labbra. Ma prima che potessi finire, il suo telefono squillò.
Ava guardò lo schermo, il suo viso si contrasse per la preoccupazione. "Devo rispondere," disse tranquillamente.
Le feci un breve cenno, facendomi indietro per lasciarla rispondere. Proprio mentre mi giravo per andarmene, il suo grido acuto e pieno di panico mi bloccò sul posto.
"No... Bella! Bella, stai calma. La mamma arriva subito, tesoro mio!"
La sua voce si spezzò, cruda per l'urgenza, e prima che potessi capire cosa stesse succedendo, mi superò di corsa, correndo verso la strada. "Ava!" la chiamai, afferrandola per un braccio. Tremava, le lacrime le rigavano il viso, completamente persa nel suo panico.
"Bella ha bisogno di me!" gridò, le sue parole si riversarono fuori in un caos frenetico. "C'è qualcosa che non va... mia figlia... ha bisogno di me!"
Sua figlia.
Ma non avevo tempo per pensarci. Ava si stava sgretolando e qualcuno doveva mantenere la lucidità. Le afferrai delicatamente le spalle, stabilizzandola. "Calmati," dissi con fermezza, incontrando i suoi occhi pieni di panico. "Dov'è?"
Balbettò un indirizzo, a malapena coerente, ma fu sufficiente. La guidai di nuovo in macchina e saltai sul sedile del guidatore, mettendo in moto con un ruggito.
L'indirizzo che aveva dato era alla periferia della città, a chilometri di distanza da qui. Senza esitazione, premetti a fondo l'acceleratore, l'auto balzò in avanti mentre la spingevo al limite. Il tachimetro saliva sempre più in alto, ma non mi importava.
Ava sedeva accanto a me, stringendo il telefono e sussurrando rassicurazioni frenetiche a sua figlia. "La mamma sta arrivando, tesoro. Tieni duro per me, okay?" La sua voce si spezzò di nuovo e seppellì il viso tra le mani, singhiozzando piano.
Strinsi più forte il volante, la mascella serrata. Non sapevo verso cosa stessi correndo, ma qualunque cosa fosse, avevo la sensazione che non fosse niente di buono. La paura nella voce di Ava me lo diceva.
"Tieni duro, Bella," mormorai tra me e me, premendo più forte il pedale dell'acceleratore.
*****
Prima ancora che l'auto si fermasse completamente, Ava aprì la portiera e scappò fuori.
"Ava, aspetta!" le gridai dietro, ma lei non si voltò nemmeno.
Sbattei la portiera e corsi dietro di lei mentre correva nel piccolo edificio, i suoi movimenti frenetici e instabili. La porta dell'appartamento era leggermente socchiusa, cigolava mentre la spingeva spalancata. All'interno, il posto era buio e silenzioso, il debole odore di mobili vecchi persisteva nell'aria.
Nell'angolo del soggiorno, Bella sedeva rannicchiata, il suo piccolo corpo tremava per i singhiozzi.
"Mamma!" gridò, allungando la mano verso Ava. Ava non esitò, si gettò in ginocchio e strinse Bella tra le sue braccia.
"Shh, tesoro, sono qui," sussurrò Ava, anche se la sua voce tremava. Baciò la fronte di Bella, stringendola forte. "Cosa è successo?"
Bella tirò su col naso, la sua minuscola mano tremava mentre indicava una stanza alla fine del corridoio.
"Lei è lì dentro..." gemette Bella, la sua voce era appena udibile.
Ava si bloccò, il suo corpo si irrigidì mentre la paura le attraversava il viso. Poi, senza dire una parola, si alzò e corse verso la stanza.
"Ava, aspetta," dissi, seguendola da vicino.
Spalancò la porta e la vista all'interno colpì come un pugno.
Un'anziana donna giaceva afflosciata sul pavimento accanto al letto, la testa inclinata con un'angolazione innaturale. La sua pelle era pallida, senza vita... senza dubbio, è morta.
"No..." sussurrò Ava, la sua voce si spezzò. Corse verso la donna e si gettò in ginocchio. "Nonna? Nonna, svegliati!"
La sua voce si alzò in un grido mentre scuoteva il corpo, i suoi movimenti disperati e frenetici. "No, no, per favore, no! Non farmi questo! Svegliati!"
Rimasi congelato per un momento, la scena che si svolgeva davanti a me troppo pesante da elaborare. Le grida di Ava squarciarono la stanza, crude e implacabili. Si aggrappò al corpo di sua nonna, singhiozzando incontrollabilmente, le sue mani tremavano mentre cercava di svegliarla.
"Nonna! Per favore! Non lasciarmi, sei l'unica che mi è rimasta" urlò, la sua voce si spezzò ad ogni parola.
Dietro di noi, le grida di Bella echeggiarono nell'appartamento. Mi voltai bruscamente, tornando di corsa nel soggiorno.
Bella era in piedi sulla soglia, i suoi occhi spalancati e pieni di lacrime fissi sulla scena. Le sue piccole mani stringevano un coniglietto di peluche, il suo labbro tremava.
"Bella," dissi dolcemente, accovacciandomi di fronte a lei. La presi tra le mie braccia, il suo piccolo corpo tremava contro il mio.
"Va tutto bene," mormorai, anche se sapevo che non era così. "Stai bene, bambina intelligente. Vieni qui."
La portai al divano e tirai fuori un paio di auricolari dalla sua borsa. Infilandoli nelle sue orecchie, accesi la musica dal mio telefono. "Le ragazze intelligenti non piangono," dissi dolcemente, asciugandole le lacrime. "Sei così coraggiosa, Bella. Siediti qui, okay?"
Annuì, stringendo più forte il suo coniglietto mentre la dolce melodia soffocava il caos.
Mi voltai di nuovo verso la camera da letto. Ava era ancora sul pavimento, dondolandosi avanti e indietro mentre singhiozzava, le sue mani stringevano le fragili spalle di sua nonna.
Mi avvicinai a lei e mi inginocchiai, posando una mano ferma sulla sua spalla. "Ava," dissi tranquillamente, la mia voce ferma nonostante il dolore al petto. "Ava, devi lasciarla andare."
Non rispose, il suo corpo tremava mentre le lacrime le rigavano il viso.
"Guardami," dissi, la mia presa ferma ma gentile.
Finalmente girò il suo viso rigato di lacrime verso il mio, i suoi occhi spalancati dall'angoscia.
"Se n'è andata," dissi dolcemente, la mia voce si spezzò nonostante i miei sforzi. "Ava, se n'è andata".
Il suo viso si sgretolò a quelle parole e lanciò un lamento straziante che mi scosse nel profondo.
"No! Non può essere andata via!" gridò, stringendo più forte sua nonna. "Stava bene prima! Avrei dovuto essere qui!"
I suoi singhiozzi si fecero più forti, più disperati, e potevo vedere il senso di colpa che la consumava. La tirai dolcemente tra le mie braccia, tenendola stretta mentre andava in pezzi.
"Non è colpa tua," sussurrai, anche se sapevo che niente di quello che dicevo avrebbe alleviato il suo dolore.
Ava seppellì il viso nel mio petto, il suo corpo tremava mentre le sue grida echeggiavano nella stanza. La strinsi più forte, il mio stesso petto pesante per un dolore che non riuscivo a spiegare.
***
**Più tardi quella notte**
Il silenzio nell'appartamento era assordante dopo che si erano portati via il corpo di sua nonna. Ava sembrava a malapena tenersi insieme, ma rimase forte per Bella, rimboccandole le coperte con mani tremanti.
Guardai dalla porta mentre si chinava e baciava la fronte di Bella, sussurrando dolci rassicurazioni. "La mamma è qui. Andrà tutto bene." La sua voce era calma, ma il peso dietro di essa era schiacciante.
Bella finalmente si addormentò, stringendo il suo coniglietto di peluche come se fosse l'unica cosa che la tenesse con i piedi per terra. Ava lisciò la coperta sopra di lei un'ultima volta, indugiando accanto al letto prima di lasciare silenziosamente la stanza.
Non mi guardò mentre percorreva il corridoio, i suoi passi lenti e pesanti. Non dissi niente nemmeno io. Invece, la seguii, osservando il modo in cui le sue spalle si incurvavano sotto il peso di tutto ciò che era successo.
Uscì, dirigendosi verso un piccolo giardino fiorito nascosto dietro l'edificio. L'aria era fresca, il debole profumo di rose fluttuava nella brezza. Si fermò davanti alle fioriture, le braccia avvolte intorno a sé.
Mi avvicinai, attento a non spaventarla. "Puoi piangere se vuoi ancora piangere," dissi dolcemente.
Girò leggermente la testa, quel tanto che bastava per farmi vedere la più flebile traccia di un sorriso. "Penso di aver finito le lacrime," disse, la sua voce calma e stanca.
Si mosse per sedersi su una piccola panchina di pietra, le sue dita sfioravano i petali di un fiore. Rimasi a pochi passi di distanza, dandole spazio, ma non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso.
Dopo un lungo momento di silenzio, parlò, la sua voce così bassa che quasi non la sentii. "Non posso credere di non essere riuscita a dirle addio anch'io".
Rimasi in silenzio, lasciando che fosse lei a dettare il ritmo. Inclinò leggermente la testa all'indietro, fissando il cielo scuro come se cercasse risposte.
"Questo... questo è esattamente come è successo dieci anni fa," disse, la sua voce tremava. "Ho ricevuto una chiamata, proprio come stasera. Sono tornata di corsa e..." Il suo respiro si bloccò. "Li ho trovati. I miei genitori. Entrambi, sdraiati... Andati... nessuna ultima parola, niente, niente."
Il mio petto si strinse mentre parlava, il dolore nella sua voce mi trafiggeva. Non interruppi, rimasi lì ad ascoltare.
"Mi hanno diseredata quando hanno scoperto che ero incinta," continuò, l'amarezza mescolata al dolore. "Mio padre... aveva tutti questi sogni per me. La sua unica figlia. Voleva che diventassi un medico, che portassi avanti l'eredità della famiglia".
Emesse una risata amara che mi fece rabbrividire. "Quando lo hanno scoperto, non hanno nemmeno fatto domande. Mi hanno semplicemente buttata fuori. Mia nonna è stata l'unica che mi ha accolta. Lei è quella che mi ha tenuto la mano quando ho dato alla luce Bella".
La sua voce si spezzò e feci un passo avanti, non sapendo cosa dire. Volevo confortarla, ma sapevo che non aveva bisogno di parole vuote in quel momento.
Invece, chiesi tranquillamente: "E il padre di Bella?"
Si bloccò. La domanda rimase sospesa nell'aria e per un momento pensai che non avrebbe risposto. Poi, lentamente, si girò a guardarmi.
L'espressione sul suo viso mi gelò il sangue nelle vene.
I suoi occhi erano spalancati, pieni di un misto di paura e qualcos'altro, qualcosa di più oscuro.
"Vuoi sapere chi è il padre di Bella?" chiese, la sua voce bassa e tesa.
Annuii, insicuro di cosa aspettarmi. Ma il modo in cui mi guardava mi fece venire i brividi lungo la schiena. Qualunque cosa stesse per dire, non sarebbe stato semplice.
















