OLIVIA
Mi sentivo intorpidita mentre sedevo in quella macchina. "Portatemi alla sua tomba, voglio vederla." Volevo dirle quanto mi dispiaceva di non essere stata lì per lei, di non essere stata in grado di prendermi cura di lei come lei aveva fatto con me quando i miei genitori erano morti. Volevo chiederle scusa per aver causato la sua morte. "Non lo sappiamo, ma lo scopriremo e te lo faremo sapere."
Annuii. Volevo chiedere dove mi stessero portando perché la mia casa con Nick non era più la mia casa. Aveva smesso di essere la mia casa il giorno in cui mi aveva mandato in prigione. Non mi importava dove mi portassero, non aveva più importanza per me. Mia nonna era morta, ora avevo solo mio figlio.
Guardai fuori dal finestrino mentre guidavamo, il posto sembrava familiare ma diverso allo stesso tempo. C'erano alcuni nuovi edifici che non conoscevo, probabilmente costruiti mentre ero dentro. "Non vuoi qualcosa da mangiare, Olivia?"
Chiese mia suocera, seduta proprio accanto a me. Non le importava che fossi sporca e puzzolente. Era seduta lì a tenermi la mano. "No, non ho fame." Non ero abituata a mangiare a qualsiasi ora del giorno.
Ora ero abituata a mangiare una volta o mai. Guardai di nuovo fuori dal finestrino e vidi che mi stavano portando all'ospedale. "Sto bene, non sono malata e non ho bisogno di un ospedale." Mio suocero mi lanciò un'occhiata da sopra la spalla. "Voglio che siano i medici a dirmelo." Dimenticavo quanto potesse essere testardo.
Tenni la bocca chiusa e guardai di nuovo fuori dal finestrino. Arrivammo all'ospedale, uno che aveva costruito lui. Uno degli ospedali più prestigiosi del mondo. Stare in prigione mi aveva fatto dimenticare i lussi di cui godevo. Ora non significano più nulla per me.
Entrammo e il primario dell'ospedale era già in attesa. "Olivia, è bello vederti. Ho sentito della tua sventura al telegiornale e mi dispiace che sia successo." Lo guardai e non dissi nulla. Aveva sentito quello che Sandra e Nick volevano che tutti sentissero e non la verità.
Non so di cosa gli dispiacesse, non mi aveva fatto niente. "Bene! Vieni di qui, ho chiesto a un medico, uno psichiatra e dei ginecologi di incontrarci lì." Perfetto, i miei suoceri stavano per scoprire che avevo perso l'utero in prigione. Ottimo!
Ma non dissi nulla, seguii il medico nella stanza. I tre medici erano lì con due infermiere e ci salutarono rispettosamente. Era strano essere trattata con rispetto, non c'era rispetto per nessuno in prigione. "Signora Jone..." Interruppi l'infermiera. "Olivia, chiamami Olivia."
L'infermiera guardò i miei suoceri, io non mi voltai nemmeno indietro, non conoscevano il mio dolore e non ero pronta a raccontare loro quello che avevo passato lì dentro. "Olivia, per favore, venga di qua, c'è una doccia e tutto ciò di cui ha bisogno." Annuì.
Avevo fatto una doccia l'ultima volta un anno fa, dopo aver dato alla luce mio figlio. Il medico lì mi aveva permesso di farmi la doccia. Basta, dopo di che mi pulivo il più possibile nella mia cella. Non c'era sapone, quindi mi arrangiavo.
Mi tolsi i vestiti che indossavo, ora mi stavano larghi ed erano l'unica cosa pulita che avevo addosso. Me li avevano presi quel giorno e mi avevano dato una tuta. Sentire l'acqua calda colpire il mio corpo, non potei fare a meno di piangere. Avevo passato molto negli ultimi due anni.
Mio marito mi aveva mandato in prigione per qualcosa che non avevo fatto, avevo avuto il mio bambino in prigione, avevo perso l'utero in prigione e quasi morivo in prigione. Mia nonna era morta mentre ero in prigione, non le avevo nemmeno detto addio. Pianto ancora un po'.
Poi mi fermai e mi strofinai per pulirmi. Rimasi circa un'ora in quella doccia e quando ebbi finito, indossai la vestaglia che era stata messa lì per me. Mi sentivo bene e al caldo. Anche quello quasi mi fece piangere. Tutto sembrava strano e surreale.
Quando uscii, i miei suoceri erano seduti lì con i medici ad aspettarmi pazientemente. Quando uscii, si alzarono. "Stai bene?" chiese mia suocera, e io annuii. I medici mi chiesero di sdraiarmi sul letto.
"Saremo proprio fuori quando avrai finito." Disse mia suocera e io annuii ancora una volta. Non mi piaceva più usare le mie parole, le mie parole mi avevano messo nei guai e mi avevano fatto guadagnare una batosta in prigione. I medici iniziarono a visitarmi.
Il medico curante iniziò a visitarmi e a prelevare campioni di sangue, continuava a lanciarmi occhiate, sono sicura che voleva chiedere cosa diavolo fosse successo perché il mio corpo appariva in quel modo. Il mio corpo era pieno di cicatrici, ognuna con una storia propria. Quando ebbe finito di sondarmi, la ginecologa iniziò la sua visita. "Oh, mio Dio. Chi ti ha macellata così?" esclamò scioccata quando vide il mio interno. Non dissi nulla e rimasi semplicemente sdraiata lì.
Si avvicinò e si mise accanto a me. Sembrava che volesse piangere. "Cosa ti è successo, Olivia?" chiese, e io la guardai. Alzò lo sguardo e trattenne le lacrime. Non sapevo perché fosse triste.
Non era lei quella che l'aveva vissuto. Quando ebbe finito, mi disse di vestirmi. Poi chiamò la psicologa. "Olivia, voglio parlare con te di quello che hai passato in prigione." Scossi la testa e mi alzai da quel letto.
Non ero pronta a parlarne. Andai a vestirmi e uscii dal reparto. I miei suoceri si alzarono quando mi videro. "Non sono pronta a condividere con nessuno la mia esperienza lì, ma prometto che vi farò sapere quando sarò pronta."
Mia suocera annuì. "Va bene, puoi dirci quando sei pronta." Ero grata per la loro comprensione. "I medici non ci diranno nulla del tuo esame e non chiederemo. Aspetteremo che tu ce lo dica. Dai, andiamo a casa." Casa, non sapevo più dove fosse. Ma li seguii comunque.
Uscimmo dall'ospedale e mia suocera chiese. "Olivia, Nick ti ha divorziato?"
















