Mi sveglio su un pavimento di legno duro, circondata da sconosciuti. Il petto mi brucia ancora e mi sento la testa leggera, stordita. Il polso mi fa male e la stanza sembra decisamente troppo luminosa. Fatico ancora a respirare. Merda, dov'è il mio inalatore? Mi sforzo di mettermi a sedere e annaspo alla ricerca della mia borsa. Dov'è? Il panico mi assale quando non riesco a trovarla, il che non fa che peggiorare il respiro.
Mi guardo intorno freneticamente finché non avvisto la borsa. È su una panca e il contenuto è sparpagliato. Qualcuno ha frugato tra le mie cose? Non importa. Ho bisogno del mio inalatore. Faccio per alzarmi, ma non riesco proprio a farcela. Incrocio lo sguardo di una donna dai capelli rossi ferma vicino alla mia roba.
«In... Inal... Non riesco...» cerco di sputare fuori le parole. Lei mi fissa confusa, inclinando la testa mentre cerca di decifrare cosa stia dicendo. Una voce profonda alle mie spalle mi fa sobbalzare.
«C'è un inalatore tra le sue cose» fa notare la voce. Gli occhi della donna si spalancano per la comprensione.
«Oh, cavolo. Scusa. Te lo prendo subito.» Squittisce le parole come se fosse spaventata. Afferra l'inalatore e anche il piccolo distanziatore malandato che tengo insieme ad esso e me li porge entrambi con un sorriso nervoso, ma gentile.
Mi ci vogliono alcuni tentativi per assumere il farmaco, e un altro paio di minuti prima di recuperare un discreto controllo sul respiro. Nessuno prova a dirmi nulla; aspettano solo che io mi riprenda. Il petto mi fa ancora male, ma almeno dovrei essere di nuovo in grado di parlare.
«Grazie» dico alla donna, sollevata. Lei annuisce con disinvoltura.
Colgo l'occasione per esaminare l'ambiente circostante. Sono in una piccola cucina. È abbastanza ordinata, anche se dalla mia prospettiva sul pavimento riesco a vedere un po' di sporcizia sotto la piccola zona di preparazione dei pasti. La donna con i capelli rossi mi osserva con curiosità; alla sua destra c'è un uomo piuttosto corpulento con un grembiule bianco. Sembra ancora più corpulento perché è molto basso, probabilmente anche più basso di me, e io sono di altezza media per una donna. Forse è il cuoco?
È un ristorante? No, la cucina è troppo piccola. Sento anche odore di alcol, quindi forse un bar? Il suono di musica e voci proviene da qualche parte dall'altro lato di questa parete. Un bar sembra probabile. Ricordo che c'era qualcuno dietro di me, il proprietario di quella voce profonda.
Mi giro per vedere a chi appartenga.
Wow, inginocchiato sul pavimento a pochi metri da me c'è l'uomo più terrificante che abbia mai visto. Anche inginocchiato, capisco che è alto, e non solo alto, ma con una corporatura molto muscolosa. Ha un bel viso, ma in qualche modo questo lo rende solo più intimidatorio. La sua espressione è minacciosa; mi sta fulminando con lo sguardo?
O ha semplicemente un'espressione perennemente ostile stampata in faccia? I suoi occhi sono scuri, così come i suoi capelli. Ha la pelle abbronzata e mi sta osservando con la stessa attenzione con cui io osservo lui. Sembra il tipo di uomo capace di spezzare una persona in due e poi andarsene senza alcuna preoccupazione al mondo, ma nonostante tutto, non credo di avere la forza di aver paura di lui.
Forse perché ha detto a quella donna di darmi l'inalatore, forse perché è inginocchiato sul pavimento con me invece di sovrastarmi come fanno gli altri due, o forse è solo perché ho raggiunto il mio limite e non ho più le energie per essere spaventata. Onestamente, mi sento come intorpidita.
Inoltre, continua a fissarmi. Mi chiedo cosa stia vedendo. Una donna di ventisette anni che non riesce ad alzarsi dal pavimento. La mia coda di cavallo scura è disordinata e mi ricade sul viso, il polso sanguina e vedo macchie di sporco sulla mia camicia rosa. Credo anche di aver perso una scarpa. Probabilmente lo sto fissando con gli occhi spalancati. Qui dentro c'è molta luce, quindi probabilmente riesce a vedere che sono di un colore verdastro piuttosto che del marrone che sembrano al buio.
Gli occhi sono probabilmente l'unica cosa che ho preso da mio padre; ho sempre pensato di assomigliare di più a mia madre. Era giapponese e si trasferì qui da adolescente. Con i miei capelli, il tono della pelle e l'altezza ho decisamente preso da lei. O almeno credo. È mancata quando ero piccola, ma mio fratello mi ha mostrato alcune vecchie foto e giurerei di essere identica a lei. In ogni caso, probabilmente ho un aspetto orribile. Uno straccio di essere umano esausto. Ugh.
Distolgo lo sguardo dall'uomo intimidatorio inginocchiato sul pavimento e guardo di nuovo gli altri due. Entrambi spostano lo sguardo tra lui e me come se stessero aspettando qualcosa. Non ho idea di cosa. Dovrei dire qualcosa? Beh... questo posso farlo.
«Dove sono?» chiedo, rivolgendo la domanda a nessuno in particolare. La rossa e il cuoco si scambiano un'occhiata, poi tornano a guardare il tizio spaventoso. D'accordo, è chiaramente lui quello che comanda qui, il che non mi sorprende affatto. Mi volto per affrontarlo adeguatamente, incrociando le gambe e cercando di sedermi con un po' di dignità. Immagino che sarebbe più dignitoso alzarsi dal pavimento, ma non sono del tutto sicura di riuscirci ancora. Unisco le mani in grembo, più che altro per evitare di agitarmi. Il tizio spaventoso non risponde alla mia domanda, si rivolge invece agli altri.
«Prendi il kit di pronto soccorso. Bisogna guardare quel polso» ordina. Il cuoco scappa via di fretta. Non c'è bisogno di dirglielo due volte. Il tizio spaventoso continua a osservarmi, e non ha ancora risposto alla mia domanda. Tuttavia, ne pone una lui.
«Come ti chiami?» La sua voce è bassa ma imperiosa. Non è il tipo di persona che si mette in discussione o con cui si discute. O meglio, non è il tipo di persona con cui la maggior parte della gente discuterebbe. Comunque, sembra che si stia prendendo cura di me, quindi gli risponderò, anche se non mi ha ancora detto dove mi trovo.
«Sono Carina. Carina Akari. E tu? Come ti chiami?» chiedo educatamente; non c'è nulla di male nell'essere educati, giusto? Lui sbatte le palpebre e questo è l'unico segno che ciò che ho detto lo ha fatto esitare. Risponde lentamente.
«Puoi chiamarmi Torin» risponde.
«Ok, Torin. Piacere di conoscerti... credo.» Lo premio con un sorriso debole. Il cuoco ritorna con un grande kit di pronto soccorso. È quasi comicamente grande. A che tipo di incidenti si stanno preparando con quello? Lo posa sul pavimento accanto a me, poi guarda di nuovo la rossa. Lei fa mezzo passo avanti.
«Devo farlo io?» Indica il mio polso ferito, che ha diversi grossi graffi che sanguinano ancora.
«No, Laura. Me ne occupo io» risponde Torin. Ah, Laura, almeno comincio ad avere dei nomi da associare a questi volti. Senza dire una parola, apre il kit di pronto soccorso e inizia a disinfettare i tagli sul mio polso. Le sue mani sono delicate nonostante il bruciore del disinfettante.
«Cos'è successo? Dove sono?» ci riprovo.
«Cosa ricordi?» chiede Torin. Cerco di ripensarci, la testa mi fa ancora male.
«Stavo tornando a casa dal lavoro a piedi. Qualcuno mi seguiva. Ho corso e mi sono persa. Sono finita in un vicolo e l'uomo, lui era... C'era qualcosa che non andava in lui. Stavo battendo sulla porta e urlando aiuto e... uh...» Frammenti di memoria tornano a galla. Sono crollata a terra. C'è stata una luce intensa quando la porta si è aperta. Qualcuno è uscito di corsa, qualcuno... No, era Torin. La creatura uomo-lupo ha cercato di afferrarmi ma Torin si è messo tra noi. La creatura ha attaccato e... e... non so cosa sia successo esattamente. Un attimo prima la creatura stava saltando addosso a Torin e poi è stata scagliata attraverso il vicolo e Torin era... diverso. Più grosso, lui... Lui aveva le corna... E i suoi occhi erano neri, non solo l'iride ma l'intero occhio. Era... non so cosa fosse. Ma sicuramente non è umano.
«Carina? Cos'altro ricordi?» incalza lui. Tutti gli occhi nella stanza sono puntati su di me mentre aspettano di sentire cosa ho da dire. Mi volto di nuovo verso Torin.
«Tu l'hai respinto. Ho visto... Non so esattamente cosa ho visto. Tranne... I mostri esistono davvero?»
















